sabato 4 luglio 2015

IL RISCALDAMENTO NEL NUOTO


       
 

A cura di Riccardo Quarta.

Le passioni guidano la nostra vita e vista la mia passione per il nuoto, non poteva mancare nel mio blog un articolo sul nuoto.
Il proposito del seguente articolo è fare una sintesi delle conclusioni degli studi presenti in letteratura al fine di fornire indicazioni riguardo all’efficacia o meno di eseguire esercizi di riscaldamento prima del nuoto (agonistico e non) e più in particolare riguardo a modalità, tempi e intensità degli esercizi stessi.

Sono stati quindi analizzati gli studi disponibili in PUBMED http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed, e selezionati quelli più appropriati in termini di aderenza all’argomento, riferimento esclusivo al nuoto, qualità metodologica e longevità di pubblicazione. I termini utilizzati nella ricerca sono “warm-up”, “exercise” e “swimming”. Sette studi hanno a mio parere soddisfatto i criteri di selezione e sono stati perciò di seguito presentati.

  
 


Il warm-up nel nuoto


Come affermato anche da una revisione sistematica del 2014 sull’argomento[1]  il riscaldamento prima dell’attività fisica è oramai comunemente accettato come elemento fondamentale nella pratica sportiva, ed è solitamente ritenuto ottimizzare la performance: il razionale alla sua base è che il riscaldamento aumenti la temperatura centrale e muscolare e il flusso di sangue e ossigeno alle cellule muscolari, in modo da incrementare l’efficienza della contrazione muscolare e migliorare la performance.

Tuttavia gli studi sugli effetti del warm-up nel nuoto sono scarsi, e questo è dovuto alle caratteristiche (alta temperatura e umidità) del setting, ovvero la piscina, e alla complessità e alla varietà delle procedure di riscaldamento utilizzate.

Infatti lo studio ha evidenziato una mancanza di consenso anche riguardo al fatto che il warm-up porti effettivamente a dei benefici, soprattutto riguardo alla pratica agonistica: questo dato ha enfatizzato la necessità di valutare in maniera più approfondita gli effetti del riscaldamento e di ottimizzarne la progettazione.

Efficacia e intensità


La revisione sopra citata sostiene che gli studi più recenti analizzati evidenziano effetti positivi sulla performance, soprattutto per distanze superiori ai 200 metri. Le raccomandazioni finali degli autori suggeriscono un riscaldamento in acqua su distanze moderate (1000-1500 metri) ad un’intensità appropriata (tale da permettere un breve approccio al ritmo da gara) e un tempo di recupero adeguato (dagli 8 ai 20 minuti) per prevenire l’affaticamento precoce e permettere il ripristinarsi delle riserve energetiche.

Modalità

Warm-up attivo o passivo?
Un altro studio[2] ha comparato gli effetti delle varie forme di riscaldamento: attivo (esercizi di forza), passivo (esercizi di allungamento) e misto (attivo e passivo). Non sono emerse differenze significative fra le diverse modalità, tuttavia il warm-up attivo ha riscontrato punteggi quasi identici a quello “misto”, mentre quello passivo è stato associato a risultati leggermente inferiori per quanto riguarda la performance (testata sui 100 metri a stile) e la percezione di fatica misurata immediatamente dopo il warm-up: lo studio sembrerebbe quindi suggerire che il warm-up attivo, per le variabili misurate, abbia i migliori effetti sulla performance. Inoltre inaspettatamente i valori più bassi di frequenza cardiaca dopo il warm-up e di percezione di fatica sono stati rilevati nel warm-up attivo, i più alti nel warm-up passivo.

Quale intensità?
Un altro studio[3] ha misurato gli effetti di tre diversi tipi di warm-up (nessun warm-up, warm-up corto e warm-up regolare) sulla performance (tempo nelle 50 yards), tempo di reazione, distanza del tuffo, frequenza cardiaca, numero di bracciate e percezione della fatica. Con warm-up “breve” si intendono solo due ripetizioni delle 50 yds rispettivamente al 40% e al 90% del ritmo gara, mentre con warm-up “regolare” si intende il warm-up abituale per ogni atleta, di cui si è preso nota nello studio e che in media si attesta intorno ai 1300 metri. I risultati sono stati diversi a seconda delle variabili indagate: il warm-up regolare è stato associato a valori migliori rispetto al warm-up “breve” per quanto riguarda la performance “media”, mentre come prevedibile la frequenza cardiaca è stata significativamente più alta proprio nel warm-up regolare. Non ci sono state però differenze significative fra le diverse modalità per quanto riguarda il tempo di reazione, la percezione dello sforzo e la distanza del tuffo. Inoltre, c’è stata una distribuzione abbastanza omogenea fra le diverse modalità di warm-up per quanto riguarda il warm-up associato alla migliore performance di ogni partecipante allo studio.
Per riassumere il warm-up regolare è stato associato a una migliore performance ma non è risultato dare vantaggi significativi nelle altre variabili indagate, inoltre alcune performance individuali sono state più veloci con modalità diverse di warm-up.

Alternative al warm-up in acqua

Esercizi “dryland”
Un recentissimo studio controllato[4] ha evidenziato come gli esercizi di attivazione a secco, con o senza il ricorso a tute fornite di sistemi di riscaldamento, migliorino significativamente la perfomance nelle brevi distanze. Il meccanismo ipotizzato è il mantenimento della temperatura centrale e la diminuzione del tempo di partenza.

Gli esercizi di attivazione a secco, chiamati in inglese “dryland”, comprendono esercizi avanzati per la core-stability ed esercizi in catena cinetica chiusa per la muscolatura estensoria degli arti, dove è richiesta prima una contrazione in eccentrica e poi una in concentrica (per degli esempi, si vedano gli esercizi presentati in questo sito[5]).

Riguardo all’importanza della muscolatura addominale non solo per incrementare la potenza del gesto atletico ma anche prevenire infortuni, un altro studio[6] ha portato a risultati interessanti sull’importanza della core-stability nella prevenzione della disabilità, non soltanto correlata al nuoto. Infatti in una popolazione di 60 individui - affetti da lombalgia cronica e sottoposti a della ginnastica in acqua - fra le molte variabili indagate (informazioni demografiche, dolore, qualità di vita, resistenza della muscolatura addominale, l’handgrip strenght test, il test del bending anteriore, la lunghezza degli hamstring, la frequenza cardiaca a riposo e il BMI) solo cambiamenti nella resistenza della muscolatura addominale (e ovviamente modifiche nel dolore, misurato con la VAS) sono stati evidenziati come predittori significativi di cambiamenti nella disabilità (misurata con l’ODI).

Esercizi di respirazione
Un altro studio[7] ha dimostrato inoltre l’efficacia degli IME (Inspiration Muscle Exercise) nel migliorare la performance. In particolare nello studio i gruppi che hanno praticato un warm-up in acqua associato a esercizi di respirazione sono risultati significativamente più veloci (nei 100 metri) dei gruppi di controllo, che hanno praticato rispettivamente solo un riscaldamento in acqua o solo gli esercizi respiratori.

Potenziamento post-attivazione
Il PAP (Post-Activation Potentation) è un concetto relativamente nuovo nella riabilitazione e pratica sportiva, e i suoi effetti sono ancora oggetto di studio. Consiste nell’esecuzione di una contrazione pliometrica massimale precedentemente all’esecuzione di un gesto atletico: si suppone che questa pre-attivazione muscolare porti all’espressione di maggiore forza nel gesto seguente (per una spiegazione più puntuale dei meccanismi che sottendono il PAP si veda questo articolo[8] ).
Un’applicazione nel nuoto è quella relativa al tuffo iniziale, fondamentale nelle gare su brevissima distanza: precedentemente al tuffo si eseguirebbe una squat ad alto carico.
Uno studio[9] ha misurato il picco di forza sia verticale che orizzontale nell’esecuzione di un countermovement jump e del tuffo in nove nuotatori professionisti, con e senza l’applicazione del PAP e con diversi periodi di pausa da esso. È emerso che rispetto alla tecniche di warm-up usate abitualmente dagli atleti il PAP è associato a valori più alti di forza, sia nel countermovement jump che nel tuffo vero e proprio, e che in particolare i valori sono più alti se il PAP è eseguito 8 minuti prima della prova. Tuttavia warm-up e PAP non hanno dimostrato differenze significative nella performance della distanza misurata (il tempo nei primi 15 metri dopo il tuffo).
Quindi sicuramente l’argomento va approfondito, ma anche il PAP potrebbe essere una valida aggiunta nel programma di esercizi di warm-up.

Conclusioni

La quantità di studi effettuati negli ultimi anni (come prevedibile di significatività e qualità eterogenea) dimostrano il crescente interesse riguardo all’argomento e la necessità di fornire dei dati oggettivi riguardo ai parametri del riscaldamento. Le conclusioni sono spesso diverse e a volte contrastanti: una buona prassi rimane quella di valutare con spirito critico i risultati degli studi e di verificarne l’efficacia nella realtà riabilitativa e sportiva. Tuttavia è innegabile che la letteratura stia producendo negli ultimi anni anche studi di qualità e in ogni caso spunti molto interessanti.

Bibliografia

[1] “Warm-up and performance in competitive swimming.” (Neiva, Marques, Barbosa, 2014)

[2] “Comparison of the effects of active, passive and mixed warm ups on swimming performance.” (Adams, Psycharakis, 2014)

[3] “Effects of different types of warm-up on swimming performance, reaction time, and dive distance. (Balilionis, Nepocatych, Ellis e altri, 2012)”

[4] “Heated jackets and dryland-based activation exercises used as additional warm-ups during transition enhance sprint swimming performance.” (McGowan, Thompson, Pyne e altri, 2015)


[6] “Disability predictors in chronic low back pain after aquatic exercise.” (Baena-Beato, Delgado, Artero e altri, 2014)

[7] “Respiratory muscle specific warm-up and elite swimming performance.” (Wilson, McKeever, Lobb, 2014)

[8] “Post-activation potentation: an introduction” (Lorenz, 2011)
 



 
 
 



 

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